Dal 1° aprile, e non è un pesce d’aprile, potremmo mettere gradualmente il green pass nel cassetto, dimenticandoci di dover utilizzare il Qr code ogni volta che ci rechiamo in un qualsiasi luogo e stracciare il foglio di carta del certificato vaccinale. È quello che ha detto a chiare lettere l’immunologo Guido Rasi, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Roma Tor Vergata e consulente del Commissario straordinario Figliuolo per la campagna vaccinale. “Il Green Pass ha l’unico senso di motivare le persone a vaccinarsi, per cui al momento non serve più a molto”, ha dichiarato a La Stampa, sottolineando come debba essere mantenuto soltanto se ritenuto “indispensabile” per “vaccinare tutti, altrimenti se ne può fare a meno”.
Le vaccinazioni calano, i non vaccinati tra gli over 50 rimangono circa 1,2 milioni e 4,8 milioni in totale quelli che non hanno mai ricevuto alcune dose del siero anti-Covid. Nonostante questi numeri, però, siamo quasi fuori dalla pandemia e il green pass, quindi, potrà essere definitivamente eliminato a giugno, verificando bene prima la stabilità della situazione.
Capitolo quarta dose: sebbene la direzione attuale sia quella di indirizzarla soltanto ai pazienti oncologici, immunodepressi e fragili, c’è chi vorrebbe estenderla a tutta la popolazione a partire dall’autunno. “Quella di massa, con questi vaccini e la situazione attuale, non ha senso”, aggiunge Rasi a La Stampa. Se ne potrà riparlare soltanto se “si registrasse un calo dell’immunità in autunno o se si trovasse un nuovo vaccino che coprisse dal contagio oltre che dalla malattia”. Dopo le tre dosi, comunque, si è maggiormente protetti rispetto al ciclo vaccinale con due anche se copo quattro mesi gli anticorpi iniziano a calare ma l’immunità a lungo termine rimane. Per quanto, ancora, non si sa. “I primi studi parlano di 15 mesi, ma potrebbero essere molti di più. Vedremo”. Uno dei membri del Cts, Sergio Abrignani, ha affermato che la terza dose aumenta e cambia, in positivo, la risposta dell’organismo creando “molta memoria” in caso di attacco del virus. “È probabile – conclue Rasi – questo almeno suggerisce l’esperienza immunologica”.