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“Per favore non tagliamo più sulla sanità”: lo sfogo di chi da un mese lotta contro il Covid e l’ASP

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Abbiamo sdrammatizzato all’inizio ed ironizzando gli dissi “dai, approfittane, come Silvio Pellico puoi scrivere un libro dal titolo “Le mie prigioni”. Ma chi non si è imbattuto nel Covid19, in questo annus horribilis, non può neanche vagamente immaginare come ci si senta, a mettere in stand by la propria vita, ed, ancor peggio, a saperla in balìa delle aziende sanitarie siciliane. Sopratutto quando i giorni passano, diventano settimane, e infine un mese e tu sei sempre in casa, chiuso in una stanza, lontano dai tuoi affetti, ed in attesa di risposte. Da protagonista di una vicenda al limite dell’immaginario, Giuseppe Pintaudi, giornalista professionista e nostro collega, un libro potrebbe scriverlo davvero quando si concluderà questa esperienza, raccontando oltre le sensazioni intime di una routine costretta a fermarsi, anche la grande pazienza, e poi la frustrazione mista a sanissima rabbia causata dalla gestione improvvisata dell’epidemia da Coronavirus da parte dell’istituzione sanitaria. Una vicenda che assume i tratti di una epica Odissea, con una Itaca, la negativizzazione del virus, ad un palmo, ma non ancora raggiunta. Ieri sera la decisione di affidare al wall di Facebook uno sfogo con l’intento di porre l’attenzione sulla vera questione al centro dell’epidemia da Coronavirus, i tagli al sistema sanitario, che come nodi vengono al pettine, tutti insieme, adesso, in un momento di grande emergenza.

Di seguito riportiamo integralmente le parole di Giuseppe Pintaudi:

“Non è ancora finita. Dopo 28 giorni di isolamento (ma io ne conto 30) non è ancora finita. Giorni che si susseguono come in loop, uguali a se stessi: ammiro le tinte sfumate dell’alba e i colori struggenti del tramonto, le nuvole, la pioggia e il sole. E poi, in lontananza, avverto rombo di motori e cinguettii di uccelli. Tutto uguale, ogni giorno: bello e triste. Come le voci della stanza accanto, vicina e irraggiungibile. Maria e Sofia che parlano, giocano, scherzano. Mi fate compagnia seppur a distanza: non vi ringrazierò mai abbastanza. E poi il telefono che suona: i messaggi, le telefonate, gli incoraggiamenti: grazie a tutti. Ma non è ancora finita, mancano gli ultimi metri. Non riesco ad uscire da questa bolla, da questo mondo parallelo in cui mi trovo rinchiuso da 28/30 giorni in preda all’incertezza, all’ansia, ma anche alla rabbia per l’improvvisazione organizzativa dell’istituzione sanitaria. Non parlo per me (la rabbia mi sbollisce presto), parlo per i molti, troppi, che attendono di essere contattati, di conoscere esito dei tamponi, di avere certezze su tempi e procedure. Si deve fare di più, si deve fare meglio, e non solo per l’emergenza Covid. Una società che vuole essere moderna non può prescindere da una sanità che deve essere moderna ed efficiente (direi anche più umana), dove servizi e prevenzione siano ai primi posti, dove l’eccellenza sia una costante e non un’eccezione. Dove non si avverta la sensazione drammatica di essere soli con davanti un muro di gomma, senza riferimenti, senza interlocutori. Se ho difficoltà io, mi chiedo, cosa faranno mai gli anziani?Qui, soprattutto al Sud, soprattutto in Sicilia, c’è necessità di investire nel riammodernamento delle strutture ospedaliere e in una assistenza territoriale degna, c’è la necessità di innovare offerte e servizi. Chi può lo faccia. Per favore, non tagliamo più sulla sanità (e nemmeno sulla scuola): i rami secchi sono altrove. Per me non è ancora finita, non posso ancora mettermi tutto alle spalle: di certo conserverò questa esperienza nel cassetto delle cose utili (stavo per scrivere “positive”, ma ci ho ripensato). Senz’altro ricorderò il brivido freddo lungo la schiena nella notte dell’8 novembre che mi annunciava l’arrivo del Covid, ma, soprattutto, conserverò gelosamente questo disegno che Sofia, visto che non ci possiamo incontrare, mi ha fatto trovare sul termosifone: l’amore riscalda, l’amore vince. Sempre”.