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Il diario di Roberta: “Mi trucco per il video-aperitivo con gli amici, ma dall’altra chat arriva un brivido freddo”

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Pagazzano (Bergamo), 21 marzo 2020

“Appuntamento alle 19,00. Puntuali mi raccomando. Non dimenticate il vino e tu non ti presentare in tuta!”. La conversazione tipo con i miei amici per organizzare una serata. Così dopo l’ennesima giornata trascorsa a lavorare da casa con il mollettone tra i capelli decido di prepararmi per uscire. Doccia, capelli, trucco. Prendo il cellulare e mi trasferisco in cucina. Bicchiere, stuzzichini, divano. Apro Whatsapp, controllo il segnale. Marco, Graziella, Ciccio, Giuseppe, ci siamo tutti? Qualcuno è in ritardo come al solito. Mi sento un po’ stupida mentre cerco l’inquadratura migliore e nello stesso tempo più comoda per un insolito “video aperitivo”, l’unico concesso in questi tempi di coronavirus. Mi sento stupida ma mi metto a ridere, nel tentativo di preservare quel briciolo di positività e di speranza, che ci possa accompagnare in quello che, ormai è chiaro, sarà un lungo cammino per tornare alla normalità. Quello che prima era solo un modo per accorciare le distanze tra la Lombardia e la Sicilia in attesa di rivederci per il weekend o per le vacanze è diventato un modo per non lasciarsi andare, combattere la solitudine e resistere alla paura. La linea tiene, tutti connessi. Chi dalla cucina, chi dalla camera da letto, in mano un bicchiere di vino o un succo di frutta. Ognuno da casa propria. Scherziamo e ridiamo per questa situazione un po’ insolita, battute e ironia la fanno da padrone mentre pianifichiamo la mega tavolata che faremo quando sarà finito l’isolamento, quando tornerò a casa. Già… quando tornerò a casa? Le vacanze di Pasqua si avvicinano ma le notizie dal “fronte” non sono rassicuranti. Il blocco sarà probabilmente prolungato e inasprito. Inevitabilmente, cominciamo a commentare le ultime notizie che intanto stanno passando al telegiornale. Aumentano i morti, un’ecatombe, e mancano i medici, che cominciano ad ammalarsi anche loro a decine.
Mentre i pensieri più cupi prendono il sopravvento sull’altra chat arriva un messaggio: “quel mio amico infermiere ha la febbre da tre giorni, è positivo al virus e un suo collega è già morto”. Deglutisco a vuoto. Fino a un paio di giorni fa era in corsia, in uno degli ospedali poco lontani da casa mia. Sicuramente li avrete visti al telegiornale, tutti i presidi della bergamasca che stanno affrontando l’inferno di queste settimane. Un inferno fatto di febbre, crisi respiratorie, mascherine saldate sul viso a tempo indeterminato, posti letto insufficienti, turni massacranti e morti. Tanti morti. Troppi. Nei bollettini giornalieri sono diventati numeri. Ma sono persone. Nonni, genitori, coniugi, amici. Tutti passati oltre senza il conforto di una carezza, senza nessuno che tenga loro la mano. Quando finirà questa carneficina disumana? Ci ammaleremo anche noi? E se ci ammaliamo, ne usciremo vivi? Se si ammalano i medici, chi ci curerà? Incertezza e paura, che accoppiata malefica.
“Oh, ora basta, stavamo parlando di pitoni, arancini e sangria!”. “Giusto! Quanto mi mancano. Quando torno voglio mangiarne come se non ci fosse un domani!”. A dire il vero, quando finalmente usciremo da quest’incubo, ci sono tantissime cose che voglio fare come se non ci fosse più “domani”. Voglio prenotare quel viaggio che ho rimandato per tanto tempo, leggere tutti i libri sulla mia wishlist, voglio trascorrere tutte le domeniche fuori porta, voglio visitare tutta l’Italia, voglio rifare il bagno a mare di notte come quando avevo vent’anni, voglio dire tutte le cose che mi passano per la testa, voglio riprendere in mano i miei progetti, ricominciare a inseguire quel sogno anche se mi sfugge. Voglio, voglio, voglio… ma prima di tutto voglio riabbracciare tutti, proprio tutti, e tenervi stretti finché non mi faranno male le braccia.

Roberta Fonti