OLIVERI – Aumentano le ricerche scientifiche che dimostrano un profondo pregiudizio sociale verso le
persone con eccesso di peso.
Già nel 1985 si osservò che i bambini di sei anni consideravano i compagni in sovrappeso pigri, deboli, privi di forza di volontà, meno intelligenti e senza autocontrollo.
È grave la presenza di questo pregiudizio tra gli stessi specialisti in nutrizione, che mostrano una serie di preconcetti durante i colloqui con le persone che si rivolgono a loro in cerca di aiuto.
Questa forma di pregiudizio nasce dalla errata convinzione che il peso sia una variabile totalmente dipendente dal nostro controllo. Chi ha questa convinzione ritiene che le persone sovrappeso, sono colpevoli della propria condizione semplicemente perché non desiderano “abbastanza” essere magri. Ciò è ritenuto inaccettabile in una società che con atteggiamenti più o meno espliciti continua escludere le persone in sovrappeso. Basti pensare agli annunci di lavoro con riferimento al peso e alla forma del candidato, fino al dato che le persone con eccesso di peso hanno mediamente uno stipendio più basso dei colleghi con un peso magro.
Chi è sovrappeso guadagna meno e ha maggiori difficoltà di trovare lavoro
La magrezza è diventata un simbolo di affermazione, sinonimo di forza, fermezza, autocontrollo e affidabilità. Se son si è magri queste caratteristiche non si possono possedere.
Del resto gli stereotipi sociali trasmessi dai media esprimono con chiarezza che la magrezza è sinonimo di successo. Da questo costrutto bisogna partire se si vuole essere vincenti.
Tuttavia l’opinione pubblica che tanto schernisce le persone in sovrappeso si rifiuta di considerare le evidenze scientifiche che raccontano una storia diversa: chi è in sovrappeso non è colpevole della propria condizione. Semmai è vittima, in parte, della genetica, e soprattutto dell’ambiente, ormai considerato “obesiogeno”. Il mondo in cui viviamo sembra costruito con lo scopo di farci aumentare di peso: facciamo poco o nulla e abbiamo cibo in grande quantità e di immediata disponibilità.
Chi è sovrappeso non è colpevole della propria condizione
È interessante notare che lo stigma viene utilizzato da parenti, amici e specialisti con scopo di stimolare chi ha un problema di peso a risolverlo: “Se ti impegni ce la puoi fare”, e dunque se non ce la fai non metti abbastanza impegno; “Per perdere peso occorre forza di volontà”, per cui se il peso non scende a mancare è la voglia. E potremmo continuare per tante pagine ancora.
Paradossalmente questo conduce al risultato opposto, poiché innesca un circolo vizioso che parte dal tentativo di seguire rigidamente una dieta, passa dalla consapevolezza che questo sistema non può essere mantenuto e giunge all’abbandono di ogni forma di controllo, con conseguente aumento di peso e crollo della propria autostima che, unita alla percezione dei pregiudizi, induce le persone in sovrappeso ad evitare di richiedere programmi di cambiamento di stile di vita, poiché il basso livello di fiducia e il rischio di essere giudicati negativamente gli impedisce di “rischiare” un ulteriore fallimento.
Il biasimo nei confronti delle persone in sovrappeso si presenta in diversi modi: dalla derisione, dai nomignoli, fino a giungere all’attribuzione di limiti caratteriali che ne impediscono l’inclusione all’interno di gruppi sociali. Vi è nei loro confronti una sorta di “bullismo del peso”, specialmente sul web, dove è facile imbattersi in immagini e post discriminanti e folli.
Sul web è facile imbattersi in affermazioni riconducibili al bullismo del peso
Tutto questo induce nei più giovani un’intensa preoccupazione verso il peso, e una crescente insoddisfazione corporea. Molte ragazze vivono una costante ansia sociale, che li induce ad evitare situazioni pubbliche per il timore di non essere adeguati. Alcuni di loro sviluppano una profonda bassa autostima e una vera e propria depressione.
Anche il rischio di ammalarsi di un disturbo alimentare è più elevato. Recentemente sono stato contattato da un dirigente scolastico preoccupato per una alunna di 8 anni, trovata in bagno nel tentativo di vomitare. Indagando ho scoperto che non era il primo tentativo e che la classe era divisa in due gruppi: le puntine e le ciccione. La bambina in questione era stata piazzata nel secondo gruppo.
Bisogna invertire la rotta. Gli specialisti del settore della nutrizione, per primi, devono assumersi delle responsabilità. Gli addetti ai lavori devono riconoscere nelle persone con problemi di peso la difficoltà del cambiamento. Non è semplice modificare il proprio stile di vita. Chi è sovrappeso non è colpevole e non va biasimato, deriso e offeso in alcun modo.
Nessuno si sognerebbe di ironizzare o avere pregiudizi nei confronti di un tetraplegico, allo stesso modo deve essere considerata la persona con problemi di peso. Anche i termini che si sceglie di usare possono avere effetti diversi. Bisogna smettere di usare termini come obeso, grasso, eccesso di grasso e sostituirli con peso non salutare, peso e IMC (indice di massa corporea). In nessun caso si deve ricorrere al concetto di forza di volontà per avere successo in un programma di dimagrimento. I famosi “sgarri” devono lasciare il posto a “difficoltà a seguire la terapia”.
L’accettazione incondizionata, il rispetto per il paziente come persona, il riguardo verso la sua
autonomia sono basi imprescindibili che non possono mancare ad un contesto sociale in cui le contrapposizioni producono barriere insormontabili che rischiano di creare una lotta di “peso” in cui da un lato ci sono i “magri ad ogni costo” e dall’altro i “grassi per rassegnazione”.
Dott. Francesco Iarrera
Responsabile Centro di Riabilitazione Nutrizionale – UOL AIDAP
Referente Regionale AIDAP