Home Attualita' La siccità in Sicilia soffoca pure il lavoro

La siccità in Sicilia soffoca pure il lavoro

195

Fino a qualche mese fa l’impatto era inimmaginabile, considerando anche le croniche difficoltà che sconta la Sicilia nel trovare mano d’opera per coltivazioni e allevamenti. Poi, con l’aggravarsi dello stato di siccità, è diventato prevedibile e adesso inevitabile. Anzi, l’impatto è già avvenuto: la crisi idrica dell’Isola, oltre a soffocare terre e pascoli, sta causando una contrazione nell’offerta di lavoro nei comparti agricolo e zootecnico.
L’allerta arriva dai singoli imprenditori, che hanno segnalato il problema direttamente al nostro giornale, ma anche dalle associazioni di categoria, come la Cia, il cui presidente regionale, Graziano Scardino, ragiona su una semplice equazione: «Se la mancanza di pioggia e di acqua ha determinato un ammanco produttivo in quasi tutti i segmenti, è ovvio che, meno raccolto c’è, meno le aziende hanno bisogno di occupati stagionali. Questo vale soprattutto nella cerealicoltura, tra i settori più colpiti dall’emergenza, dove le ore lavorative stanno subendo in media una sforbiciata tra il 20 e il 30%, che in certi areali in cui il raccolto del grano si avvicina a quota zero, come quelli delle Basse Madonie, del Nisseno, dell’Ennese e dell’Agrigentino, può superare il 50%».
Ovviamente, rimarca Scardino, il taglio delle giornate di lavoro «comporta una diminuzione dei contributi versati e del peso dei futuri assegni di disoccupazione per i braccianti, in un quadro di impoverimento sociale destinato ad allargarsi».
Per non parlare dei contoterzisti impiegati nella trebbiatura, di coloro che mettono a disposizione mezzi e braccia per le attività di fienagione: «Se non c’è prodotto da raccogliere, chi li chiamerà?».
La stessa domanda, retorica, la solleva Massimo Primavera, direttore della Coldiretti di Caltanissetta, che nei campi a seminativo del Nisseno, «ad eccezione di pochissime imprese», non vede «trebbiatrice in moto, semplicemente perché di cerali non ce n’è, e senza spighe piene non c’è neanche lavoro».
Ma il problema, afferma Primavera, riguarda anche la zootecnia, dove si sta registrando un paradosso: «Da una parte, permane la storica difficoltà a trovare mano d’opera che badi agli animali, mentre dall’altra le rare persone disposte a lavorare nelle stalle non vengono più contrattualizzate, perché ci sono meno capi di bestiame», mandati al macello a causa della penuria di acqua e foraggio, «ma soprattutto perché le aziende hanno meno risorse, meno soldi in cassa per permettersi gli stagionali».
Poi, c’è tutto il comparto frutta. Anche lì, «a causa dei deficit di produzione dovuti alla siccità, c’è meno bisogno di raccoglitori. Oppure non c’è proprio necessità, e non solo per la crisi idrica: provate a chiedere a quelle aziende che, per via della grandinata della settimana scorsa, si ritrovano le albicocche completamente distrutte, tanto che non le vuole più nessuno, tranne, forse, la Caritas, in beneficenza, per ricavarne confettura».
E a soffrire, d’acqua e lavoro, sono pure le coltivazioni degli ortaggi, dove il trapianto delle talee, sottolinea il vicepresidente di Coldiretti Sicilia, Ignazio Gibiino, «si sta drasticamente riducendo, dato che molte attività non riescono ad irrigare i campi, con inevitabile diminuzione della mano d’opera».
Stesse scene in quegli agrumeti che non possono contare su pozzi e laghetti privati, «e che, nonostante le irrigazioni di soccorso consentite dai Consorzi, registreranno cali di raccolto, dunque nel fabbisogno lavorativo».
Ma a rischio, oltre ai contratti stagionali, è la sopravvivenza stesse delle imprese. Lo sa bene Confagricoltura Ragusa, che torna a chiedere una gestione più funzionale dell’invaso Ragoleto-Dirillo per il sub comprensorio Acate-Pedalino, dove insistono circa 1.200 aziende, tra cui realtà strutturate che danno lavoro a migliaia di operai e che si estendono per migliaia di ettari. Se in passato, spiega la confederazione, per tutte queste attività venivano erogate dalla diga tre milioni di metri cubi di acqua, adesso non si andrà oltre i 600 mila: «Un volume parecchio al di sotto delle esigenze fisiologiche delle imprese agricole del territorio».
Per questo, il direttore Giovanni Scucces rilancia l’appello «a tutte le istituzioni interessate affinché si pongano in essere interventi risolutivi. Il tempo è finito e non si può assistere inermi alla morte delle nostre aziende».