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Zero nati in Italia nel 2050. La vera emergenza che dovrebbe unire il Paese

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L’Italia nel 2050 si ritroverà al drammatico traguardo di nascite zero. Zero. Abbiamo dieci anni di tempo per tentare di invertire questa tendenza. Solo dieci anni. Questa è la vera emergenza del Paese. Perché condanna ad un declino irreversibile ed impossibile a quel punto da fermare.
I dati sono netti e incontrovertibili.
Dal 2010 ad oggi l’Italia – che si attestava su 561 mila nuovi nati – segna una emorragia che viaggia su 14 mila culle in meno l’anno.
Con questa media – che è facile presumere che senza interventi sarà anche peggiore – si arriverà a nascite zero tra 27 anni esatti.
La proiezione formulata da Alessandro Rosina ordinario di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano ci mostra in una evidenza disperante il destino che ci attende.
“È bene essere consapevoli che le nascite in Italia non sono solo a livello basso, ma anche posizionate su una scala mobile che le trascina sempre più giù” spiega Rosina in una sua analisi per il Sole 24 Ore.
“Questa scala mobile consiste nella struttura per età della nostra popolazione, la quale, per conseguenza della denatalità passata, è in progressivo sbilanciamento a sfavore delle generazioni giovani-adulte (la fonte di vitalità di un Paese). Più il tempo passa, più diventa difficile (e se continua così tra pochi anni anche impossibile) invertire la curva negativa delle nascite. La questione non è più se riusciremo a evitare il declino della popolazione, oramai gli squilibri strutturali interni (nel rapporto tra generazioni più anziane e quelle più giovani, a sfavore di queste ultime) sono tali che anche nel caso di portare il numero medio di figli per donna ai livelli degli altri Paesi europei, a parità di flussi migratori, avremmo comunque un numero di abitanti in maggior riduzione”.
“Si tratta quindi di capire, nei margini di manovra che ci sono rimasti, se riusciremo a evitare che le nascite entrino negli ingranaggi di una trappola demografica che la condanna a una irreversibile diminuzione. Questo scenario è quello più disastroso, perché oltre a diminuire la popolazione (con corrispondenti crescenti difficoltà a garantire servizi e condizioni di benessere minimo nelle aree interne e montane, già oggi in fase di spopolamento), ci troveremmo in tutto il Paese non solo con sempre più anziani, ma anche sempre meno persone che entrano nella fase della vita in cui si contribuisce alla crescita economica e a rendere sostenibile la spesa pubblica” spiega Rosina.
“Un circuito vizioso di questo tipo verrebbe ulteriormente accentuato dal fatto che i pochi giovani decideranno sempre più di prendere in considerazione la scelta di sottrarsi alla stringente tenaglia di indebitamento pubblico e invecchiamento demografico spostandosi in altri Paesi” ragiona Rosina.
Il prossimo anno in Italia, ci saranno 8,1 milioni di bambini e ragazzi tra tre e diciotto anni.
Nel 2034 questa “popolazione” sarà di soli 6,7 milioni.
Nel Lazio, per esempio, si scenderà da 808 mila a 659 mila persone in questa fascia di età, mentre in Lombardia da 1,4 a 1,2 milioni.
In Campania si passerà da 875 mila a 721 mila bambini tra i tre e i diciotto anni in un decennio, in Veneto nello stesso periodo questa popolazione scenderà da 683 a 575 mila persone.
Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat nonché professore ordinario di Demografia sono parecchi mesi che lancia l’allarme.
“E’ una tendenza molto grave ma attesa, che ora si sta concretizzando sempre di più. Dal 2008 la dinamica della natalità è in calo anno dopo anno: nel 2021 siamo scesi sotto quota 400 mila nascite e quest’anno ci sarà un’ulteriore riduzione. Quindi, nonostante un certo contributo dell’immigrazione, anche il numero degli studenti non può che diminuire”.
“La scuola è per così dire il primo fronte sul quale si notano gli effetti della mancata natalità: bastano pochi anni, mentre per l’impatto sul mondo del lavoro ne servono più o meno venti, perché i bambini devono crescere e arrivare all’età lavorativa. E ancora dopo – ma comunque abbastanza rapidamente – si vedono le conseguenze sul welfare, sulla sostenibilità di sanità e pensioni” spiega ancora il presidente dell’Istat.
“Se la decrescita è di queste dimensioni decresce anche l’economia. Da qui al 2070 stimiamo una perdita di Pil di circa 500 miliardi. Ancora prima, nell’arco di vent’anni, ci sarà una riduzione delle unità di consumo, calcolate in base alle famiglie, del 2,5 per cento. In alcune Regioni anche del 10. Senza contare che l’Italia vedrà diminuire il suo peso internazionale”.
“Certamente. Però ricordiamo che le nostre proiezioni sulla popolazione, quelle da cui nascono le stime sul numero degli studenti, incorporano giù un flusso netto di 130 mila persone l’anno. Quindi il contributo è importante, ma in parte è già in atto. Inoltre è noto che dopo un certo tempo gli immigrati tendono ad adeguarsi ai comportamenti del Paese in cui vivono, anche sulla scelta di quanti figli avere” conclude Blangiardo.
Il Governo guidato da Giorgia Meloni sembra aver messo da subito al centro le politiche a sostegno della famiglia e della natalità.
C’è Opzione donna, lo speciale regime previdenziale per la popolazione femminile. Il vincolo dei figli si è fatto strada tra uno stop&go e un altro: l’anticipo dell’uscita dal lavoro osserverà il criterio del numero della prole per Opzione donna che viene prolungato di un anno.
Per l’assegno unico gli importi vengono versati ai genitori dal 7° mese di gravidanza della madre al compimento del 21° anno di vita dei ragazzi. Le maggiorazioni del 50% per il primo figlio scatterà dal 1 gennaio e solo fino al compimento del primo anno di vita.
Stessa cosa per i nuclei dal terzo figlio in su fino al compimento dei tre anni e a condizione che l’Isee non sfori il tetto dei 40mila euro. Per fare qualche esempio, fino al primo anno di vita del bambino, l’assegno di 50 euro previsto per i nuclei con più di 40mila euro passerà a 75 euro, mentre gli assegni fino a 15mila euro di Isee cresceranno da 175 euro a 262,5. L’altra novità, annunciata da Meloni, è il sostegno strutturale della misura per i ragazzi con disabilità.
Ritoccati anche i congedi parentali, attualmente previsti in via facoltativa per i genitori nei primi 12 anni di vita dei figli. Il precedente governo li aveva portati da 6 a 9, non variando l’indennizzo che infatti era fissato al 30 per cento della retribuzione. La novità contenuta in manovra prevede un mese in più, usufruibile esclusivamente dalla madre lavoratrice che per questo solo mese aggiuntivo potrà godere di una retribuzione dell’80% (e non 30%) usufruendone fino al sesto anno di vita del bambino incluso.
Novità anche sul versante dell’Iva: scende dal 10% al 5% quella su assorbenti e tamponi, mentre passa dal 22% al 5% l’Iva sul latte in polvere o liquido per l’alimentazione dei lattanti o dei bambini nella prima infanzia (condizionato per la vendita al minuto). Ecco gli altri prodotti scontati: preparazioni alimentari di farine, semole, semolini, amidi, fecole o estratti di malto per l’alimentazione dei lattanti o dei bambini, condizionate per la vendita al minuto; pannolini per bambini; e infine i seggiolini per bambini da installare nelle auto.
Tutto ciò può considerarsi solo un inizio per la soluzione di questo dramma.
Il declino irreversibile delle nascite è quindi lo scenario da mettere al centro di ogni strategia di sviluppo del Paese nei prossimi decenni, per anticipare e prepararsi a gestirne le conseguenze e per valutare l’impegno che siamo disposti oggi a mettere per evitarlo.
“Nel mondo contemporaneo avere figli non è sentito come un obbligo e non è dato per scontato averli anche quando li si desidera. È una scelta libera che ha bisogno di condizioni adatte per poter essere realizzata positivamente. Non è una scelta solitaria: serve attorno una comunità che ne riconosca il valore, mettendo in campo politiche solide ed efficaci, all’interno di un clima sociale positivo” sottolinea Rosina.
“Non è una scelta indipendente dalle altre: ha bisogno di inserirsi in un processo di realizzazione personale e di benessere molto più articolato che in passato. Questo comporta prima di tutto la necessità di poter essere integrata con altre scelte. Autonomia dalla famiglia di origine e realizzazione di una propria sono strettamente dipendenti dalle politiche abitative e dalle politiche attive del lavoro peri giovani. La scelta di avere figli e quella di lavorare, non rinunciando alla propria realizzazione professionale, devono diventare leva positiva reciproca una dell’altra. Indispensabili sono, su questo versante, misure sia di conciliazione che di condivisione tra madri e padri” prosegue Rosina.
“Questo significa che la natalità non potrà aumentare se continueremo ad avere il record di Neet (i giovani che non studiano e non lavorano), pari circa al 30% nella fascia 25-34 anni. Conseguenza delle fragilità di tutto il percorso di transizione scuola-lavoro che porta a posticipare l’arrivo del primo figlio (l’età media a cui si diventa genitori è la più alta in Europa).
“La natalità, inoltre, non può che aumentare assieme all’occupazione femminile, entrambe tenute basse dalla carenza di strumenti e servizi che armonizzano impegno di lavoro e responsabilità familiari. Inoltre un secondo reddito, in presenza di conciliazione e condivisione, riduce il rischio di povertà e favorisce le condizioni economiche per avere un figlio in più. Infine, la natalità aumenta se si rafforza anche la consistenza della popolazione in età riproduttiva, contributo che può arrivare dall’immigrazione. Ma solo un’immigrazione che trova condizioni per essere bene integrata nel sistema sociale e nei processi di sviluppo del Paese contribuisce alla vitalità demografica, in caso contrario si adatta presto al ribasso ai comportamenti riproduttivi autoctoni”.
“Questo significa che per rispondere alle trasformazioni demografiche e alle esigenze di sviluppo del Paese la quota che davvero conta è quella di arrivare a 5oomila nascite entro i prossimi dieci anni.
Perché non solo ci aiuta a non condannarci a una trappola demografica che genera squilibri irreversibili, ma anche perché può essere ottenuta solo combinando politiche familiari con condizioni che portano al rialzo anche occupazione giovanile, partecipazione femminile al mercato del lavoro, immigrazione di qualità” conclude Rosina.
Per arrivare a tale obiettivo serve tutto un Paese che si muova nella stessa direzione.