Da qualche giorno uno dei più antichi e prestigiosi licei italiani, il Cesare Beccaria di Milano, ha il suo Locus Amoenus e quel luogo dell’anima, quel paradiso terrestre pensato dagli studenti e per gli studenti, porta il nome di un professore di Capo d’Orlando che amava studiare, amava insegnare, amava i suoi ragazzi e dai suoi ragazzi era amato. È amato. Basilio Ioppolo se n’è andato troppo presto, l’estate scorsa, a 39 anni, la malattia lo ha strappato a quelle passioni che ha sempre coltivato con rigore e sorrisi, ma il suo ricordo è vivo e no, non si tratta di una di quelle frasi di circostanza a cui ci si aggrappa per cercare un’ardua consolazione.
Basilio al Beccaria ha insegnato Lettere, certo, ma ha trasmesso soprattutto valori. Un bagaglio così grande da non poter essere confinato ad una vita che il destino, a volte, rende troppo breve. E così grazie ad una colletta dei suoi allievi, gli studenti del triennio della sezione A, e ai fondi propri della scuola, è nato il Locus Amoenus del liceo Beccaria, l’aula numero 58 che adesso porta il nome di Basilio Ioppolo e che, spiegano gli studenti stessi, «è totalmente dedicata a noi, qui possiamo venire liberamente a studiare, leggere e rilassarci». Per Basilio, scrivono i ragazzi, «siamo stati una seconda famiglia, e siamo certi che sarebbe stato entusiasta della realizzazione di questo spazio e di tutto l’impegno messo da ciascuno dei suoi ragazzi. Ci ricorderemo sempre di tutto ciò che ha fatto per noi ogni volta che metteremo piede nel Locus Amoenus. Speriamo che questo piccolo, ma importante gesto, tenga vivo il ricordo del professore anche in coloro che non hanno avuto l’onore di conoscerlo, e che possa essere una minima restituzione di tutto ciò che è stato per noi».
In quanto hanno voluto fortemente fare i ragazzi del Beccaria, del resto, c’è il senso pieno e compiuto di come Basilio ha vissuto quella che, per lui, non è mai stata una professione. Era una missione, che non si esauriva certo una volta suonata la campanella. Lo hanno sempre saputo i suoi familiari (mamma Gabriella ed i due gemelli in primis), i suoi amici di sempre, i suoi compagni di percorso all’Università di Messina, lo hanno imparato presto i colleghi di lavoro a Milano. La biblioteca al quarto piano del Dicam, il dipartimento di Civiltà antiche e moderne dell’Università di Messina, all’Annunziata, è stato, in un certo senso, il suo Locus Amoenus. Dopo essersi diplomato al liceo Lucio Piccolo di Capo d’Orlando, si è immerso negli studi delle Lettere classiche nell’Ateneo messinese, conseguendo poi il dottorato di ricerca in Filologia e cultura greco-latina all’Università di Palermo. Ma anche in quest’ultimo periodo era sempre Messina, era sempre quella biblioteca al quarto piano di Lettere, il “regno” di Basilio. I libri il suo nutrimento continuo, prima di iniziare, nel 2014, la vita che aveva sempre desiderato, quella del docente, nella lontana Milano. Lì dove ha fatto presto a farsi amare dai suoi studenti, in ogni istituto superiore in cui ha insegnato prima dell’approdo al liceo Beccaria.
«Come va la vita?», chiedeva spesso il prof Basilio ai suoi ragazzi entrando in aula. Una domanda semplice, tutt’altro che banale, così ricca di empatia che oggi, quella stessa domanda, campeggia su una delle pareti della “sua” aula, la numero 58, il Locus Amoenus. Un luogo dell’anima in cui la sua anima è ben presente e viva, nelle fotografie insieme agli studenti, nei sorrisi che quelle fotografie cristallizzano incuranti delle beffe del destino, nei ricordi anch’essi cristallizzati e cristallini. «Cercava di capire il nostro punto di vista e, se pensava avessimo ragione, ci difendeva e ci incoraggiava a farci sentire», scrivono di lui i ragazzi che lo hanno conosciuto tra i banchi. «Ci sono professori che ti prendono per mano, ti aprono la mente e ti toccano il cuore e lei è uno di questi. Lei era IL Professore», ricordano altri in una struggente lettera. Questo era, questo è Basilio Ioppolo, «IL Professore» venuto da Capo d’Orlando con una missione: prendere per mano i suo i ragazzi per non lasciarli più.
“Se fosse stato anche solo la metà di ciò che i suoi studenti hanno scritto di lui – scrive Massimo Gramellini sul Corriere della Sera -, sarebbe comunque l’adulto che tutti dovremmo aspirare a essere e l’insegnante che tutti avremmo voluto incontrare. Un esempio di dedizione, umanità e passione che continuerà a ispirare chiunque entri in quell’aula speciale, dedicata a un professore che ha saputo lasciare un segno indelebile.