Il cammino all’Ars della leggina che dovrebbe ridare vita alle ex Province è cominciato stamani a meno di 24 ore dalla decisione che il centrodestra ha preso nella riunione di Palazzo d’Orleans di martedì.
In commissione Affari Istituzionali all’Ars si è fermato tutto per dare priorità alle norme che reintrodurranno il voto diretto nelle ex Province, dove a metà dicembre si sarebbe invece dovuto votare con le elezioni di secondo livello come avviene nel resto d’Italia in base alla legge Delrio. Il decreto già firmato da Renato Schifani aveva fissato le elezioni di secondo livello per il 15 dicembre: per eleggere i presidenti e le assemblee dei Liberi Consorzi, se le urne non verranno bloccate da questo blitz ormai pianificato all’Ars, saranno chiamati alle urne solo i sindaci e i consiglieri comunali del territorio. E lo stesso vale per l’elezione dei consigli metropolitani mentre al vertice delle Città Metropolitane vanno di diritto i sindaci del capoluogo.
Il disegno di legge incardinato cambia però tutto. E contiene sette articoli. Oltre alla reintroduzione del suffragio universale, il testo prevede «la rappresentanza di entrambi i generi in seno alla giunta, in analogia con le previsioni vigenti per i Comuni». Venticinque i consiglieri nei consorzi con popolazione fino a 400.000 abitanti, 30 in quelli con maggior popolazione. Nelle città metropolitane i componenti del consiglio saranno 35 per quelle con meno di un milione di abitanti, 40 per quelle con popolazione maggiore. Il sistema elettorale previsto nel testo firmato da tutti i capigruppo del centrodestra è quello che si adottava per gli organi delle Province regionali, «mai espressamente abrogato, prevedendo altresì che nella composizione delle liste per l’elezione dei consigli ciascun genere sia rappresentato per almeno un terzo».
Si prevede che, in sede di prima applicazione, l’elezione di presidenti e consigli si tenga nell’ambito dell’ordinario turno elettorale primaverile, dunque fra aprile e giugno. Inoltre ai componenti degli organi di governo degli enti di area vasta – cioè presidenti, assessori e consiglieri – si prevede l’applicazione «della vigente normativa in materia di status degli amministratori locali e l’applicazione, in quanto compatibile, dell’intera disciplina in materia di elezione, funzioni ed attribuzioni degli organi delle ex Province regionali». Dunque presidenti, assessori e consiglieri dovrebbero guadagnare più o meno quanto i pari grado nei Comuni.