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La casa degli italiani è a rischio, lo scenario

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Adesso la paura degli italiani è tanta: non è che con la nuova normativa Ue sugli edifici green presto la mia casa sarà fuori mercato?

E con lo stop alla cessione dei crediti non avrò neanche le risorse per adeguarla ai nuovi parametri sui consumi energetici?

La domanda è più che lecita, in primo luogo perché la stretta europea sull’impatto ambientale delle abitazioni è praticamente dietro l’angolo considerando i tempi necessari per ristrutturare (entro il 2030 gli immobili dovranno essere almeno in classe E ed entro 2033 in classe D) e la mole di edifici interessati è enorme e riguarda milioni di abitazioni.

Ma ancor di più perché il momento non è dei più propizi tra rincaro dei mutui e dei materiali da costruzione da un lato e il rischio di rallentamento economico se non recessione alle porte dall’altro.

Che fare allora? Comprare o aspettare? Vendere o ristrutturare? Meglio puntare sulle case nuove o meglio l’usato? La via più semplice in teoria sarebbe acquistare abitazioni nuove che, oltre ad essere più allineate alle moderne esigenze dell’abitare, sono già in classe energetica A oppure B, così da togliersi il pensiero.

Peccato che costino in media tra il 20 e il 30% in più rispetto all’usato, ma soprattutto che oggi l’offerta si sia praticamente azzerata.

“Causa rialzo dei costi dei materiali e degli oneri finanziari, i costruttori hanno dovuto rivedere i prezzi al rialzo per quanto riguarda i progetti già in corso, e per le stesse ragioni hanno sospeso quasi del tutto quelli futuri”, spiega Federico Sutti, managing partner dello studio legale Dentons.

“Il rischio è infatti di arrivare tra un anno sul mercato con prezzi troppo alti e quindi di non riuscire a vendere gli appartamenti”.

Il problema è rilevante soprattutto per gli immobili di fascia media: “le piccole palazzine di lusso magari si faranno ancora”, aggiunge Enzo Albanese, Fimaa Milano, Lodi, Monza, Brianza, “mentre davvero a rischio sono quelli più periferici da centinaia di appartamenti.

“Progetti come SeiMilano da un migliaio di appartamenti probabilmente oggi non si riuscirebbero a fare”. Il nuovo insomma non avanzerà più “e in questo quadro a soffrire di più sarà Milano, l’unica dove le nuove costruzioni erano un po’ più frequenti, anche se non coprivano comunque più di qualche punto del mercato.

“Altrove il segmento del nuovo era fermo già prima”, spiega Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari: “basti pensare che i nuovi alloggi a Milano in media non sono più di 1.000-1.500 all’anno, non più di un centinaio nelle altre città”.

Non resta dunque che ripiegare sull’usato, con l’obbligo di ristrutturare anche per adeguare al meglio l’abitazione ai parametri europei da un lato, e di risparmiare fin da subito sui consumi energetici dall’altro.

Lo stop alla cessione dei crediti rappresenta senz’altro un ostacolo per chi deve affrontare lavori cospicui, “ma in fondo si è sempre fatto”, minimizza Breglia.

“Non è che in passato non si cambiavano la caldaia o gli infissi perché non esisteva ancora la possibilità di scontare subito i crediti fiscali. All’inizio gli acquirenti saranno un po’ spaventati, poi ci faranno meno caso”.

Il tema semmai è quanto il clima di sfiducia, legato anche al quadro geopolitico, il carovita e il rincaro dei mutui peseranno sulle tasche degli italiani e quindi sul mercato immobiliare.

Le attese in generale parlano di rallentamento delle compravendite, ma non in misura enorme, per tornare intorno a quota 650 mila dalle 730 mila di quest’anno.

Valori comunque lontanissimi dalle 400 mila compravendite cui era precipitato il mercato nella crisi del 2012. Maggior tenuta dimostreranno invece i prezzi. “Più in generale, il mercato reagirà in modo diverso a seconda della tipologia”, spiega ancora Albanese.

“La fascia di abitazioni top, cioè centrali o comunque nelle zone migliori e di qualità, non subirà contraccolpi, anche perché in questo caso chi compra non ha problemi di liquidità o necessità di finanziarsi.

Il segmento è inoltre sostenuto, almeno nelle città principali, anche dagli acquirenti esteri. Più incerto il futuro degli immobili di fascia media, che coprono il 50-60% del mercato, a causa appunto del maggior costo dei mutui e della mancanza di prodotto nuovo.

Ma il peggio è per quelli di fascia bassa che avevano avuto una fase di grande vivacità negli ultimi anni grazie ai mutui all’1%, e ora si trova con tassi di interesse quadruplicati”. Gli effetti di tutto questo sui prezzi non saranno tuttavia immediati.

E forse non saranno nemmeno così palesi. Abbiamo già assistito, e fin dello scorso autunno, al calo delle richieste di mutuo e quindi delle compravendite. I prezzi invece per ora sono destinati a stabilizzarsi prima di iniziare a cedere un po’.

“La prima reazione sarà un rallentamento dei tempi per chiudere le operazioni”, spiega Albanese: “di fronte a tanta incertezza chi compra dovrà magari accontentarsi di abitazioni più piccole e meno care, ma in ogni caso si prenderà più tempo per decidere.

Alcune case resteranno dunque a lungo sul mercato dopodiché’, se il quadro non migliorerà, i venditori accetteranno di vendere a sconto e i prezzi inizieranno a scendere. Ma ci vorranno almeno sei, otto mesi per arrivare a questa fase”.

Cauto anche Sutti: “lo stop del nuovo e il caro mutui stabilizzeranno i prezzi. In città come Milano inoltre hanno già corso molto, al punto da essere quasi accessibile per molti, costretti a ripiegare sull’hinterland. Senza acquirenti, i prezzi come possono salire ancora. Vedo invece più chance per Roma, aiutata anche dalla scarsità di offerta di immobili nuovi e dal rialzo più contenuto dei prezzi registrato finora”.

Decisamente più ottimista Breglia, che prevede una fase di stabilizzazione ma forse anche di leggero aumento delle quotazioni.

“Non dimentichiamo infatti due fattori importanti che aiutano il mercato”, sottolinea Breglia. “In primo luogo che è proprio l’inflazione a spingere i prezzi. Anzi finora sono saliti anche poco, il 5-6% di media nelle grandi città a fronte di un carovita al +10%.

In Italia inoltre il mercato vive ancora una fase positiva dopo i lunghi anni di crisi dello scorso decennio: il residenziale tricolore non ha alle spalle i rialzi a due cifre di Usa, Gran Bretagna, Francia Germania, ma solo un modesto 2% di media.

Non è quindi sopravvalutato o a rischio bolla. Dispone inoltre di un altro potente propulsore e cioè il mercato degli affitti, in particolare quelli brevi”.

La forte ripresa del turismo, in particolare dall’estero, fa il tutto esaurito negli hotel ma anche nelle tante abitazioni sulle piattaforme come Air&b e simili, e non solo in alta stagione.

Chi non riesce a vendere ripiega subito sulla locazione, che funziona bene anche nelle zone di minor pregio: “basta pensare che negli ultimi due anni l’acquisto di immobili a fini turistici è salito dal 5% fino al 15-20%”, aggiunge Breglia, “e che quest’anno si prevede che il mercato delle locazioni brevi coinvolgerà un milione di abitazioni contro le 600-650 mila del 2022.

E non si tratta solo di immobili top in zone centrali o di pregio come dimostra il boom di compravendite a Roma intorno a Stazione Termini-piazza Vittorio oppure a Mestre dove i prezzi sono ormai saliti a 4 mila euro al metro quadro o in altre mete periferiche, purché ben collegate, in altre città. Il rendimento del resto è dato dal rapporto tra costo di acquisto e canone di locazione, e dove le quotazioni sono più basse e facile spuntare ritorni migliori. In altre parole, a incidere sul mercato sono più gli affitti che non il rialzo dei tassi di interesse o delle materie prime”.