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Capo d’Orlando: le Arance amare di Leo Tonarelli

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Dopo “In Valle Daeminae” – racconti sui luoghi antichi del Valdemone – edito nel 2006, Arance amare è il secondo scritto di Leo Tonarelli – Leuccio per tutti – e già il titolo è di per sé chiarificatore di un’opera d’indirizzo, non una banale storia d’amore, ma un lungo e bellissimo viaggio colmo di sentimenti, di azioni nefaste e di tragedie, con una profondità d’animo, con un colore di sottofondo caloroso e vivo, capace però di trasformarsi e incupirsi con lo svilupparsi delle azioni, ma senza mai perdere la speranza. Il libro è stato presentato nella biblioteca di via del Fanciullo ed è gia’ in vendita.
Si tratta di un racconto che alimenta in noi la nostalgia di atmosfere, luoghi e tempi perduti, oltre che di personaggi scomparsi, che riemergono dalle pieghe del tempo, sapientemente miscelate dall’autore.
Il racconto percorre così vie che sembra di riconoscere e che diventano la quinta scenografica per una storia tra due ragazzi che detteranno i ritmi dell’azione. Si riportano alla memoria del lettore luoghi conosciuti, Capo d’Orlando, Naso e si ricordano tragedie come quella di Messina e della Grande Guerra.
Un racconto che ha una solida base documentale e che come un albero s’innalza maestoso sostenendo tutti i fatti narrati, che vi si avvinghiano a spirale ascendendo alla chioma.
Gli accadimenti e le azioni che si coagulano nella sfera dell’immaginario racconto, trovano così vivo sviluppo in un ben preciso e riconoscibile momento sociale, che per gli abitanti di questa porzione di territorio si ricorda come “l’Autonomia”: l’albero.
Ombra di un periodo, che per inciso va dal 1919 al 1925 e che fino a qualche tempo fa ha segnato il convivere civile di due comunità, unite nella storia e poi separate dagli uomini e che ha vissuto di scarsa memoria, di racconti fantasiosi a colmarne le dimenticanze.
Una ferita dolorosa, una separazione forzata dalle ideologie o dalla volontà di Capo d’Orlando d’essere adulta a discapito di un padre, Naso, che non volle comprendere il disaggio del figlio.
Una storia quasi dimenticata o troppo condita di fantasia che come accade sempre, riemerge d’improvviso a distanza di quasi novant’anni, in una cassa di fogli ingialliti e consumati dal tempo, salvatasi dagli eventi.
Questa premessa è doverosa verso chi si approssima a leggere questo libro, l’opera pur presentando tutti i crismi del racconto di fantasia nello svolgimento di alcuni personaggi, è calata negli accadimenti.
Il lettore, viene catapultato in un mondo che non c’è più, il suo incedere negli eventi, nella descrizione mai banale di luoghi e atmosfere, subisce un processo di fascinazione, lasciandosi trasportare in luoghi lontani nel tempo, riuscendo quasi a farci credere di respirarne l’aria, a farci percepire quelle sfumature di vita dei primi del novecento e di socializzazione di una Capo d’Orlando oggi persa, lontana, e accompagna, attraverso una scrittura leggera, snella, lineare, piacevole, le azioni dei singoli personaggi.
Un racconto in cui si percepiscono le asprezze del tempo, si vivono i drammi di un percorso di crescita, che attraversa momenti di pura sofferenza e che segnano gli anni della formazione e della crescita del giovane protagonista attraverso le vicende personali prima, passando dagli orrori della Grande Guerra poi, senza mai perdere di vista il sentimento più puro e più vero: l’amore.