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Ecologia: Il WWF lancia l’allarme: l’inquinamento degli oceani sarà quattro volte maggiore entro il 2050

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Un nuovo report del WWF ha analizzato oltre 2.590 studi sull’inquinamento da plastica negli oceani ed ha fornito l’analisi completa degli impatti che sta causando sulle specie e sugli ecosistemi marini: una vera e propria crisi planetaria, secondo la definizione data dalle Nazioni Unite.
Il report sottolinea la probabilità che la crescita prevista dell’inquinamento da plastica comporterà rischi ecologici significativi che indeboliranno gli attuali sforzi per proteggere e aumentare la biodiversità, se non si interverrà ora per ridurre la produzione e l’uso della plastica a livello globale. Basti pensare che la massa (in peso) di tutta la plastica presente sul Pianeta è il doppio della biomassa totale degli animali terrestri e marini messi insieme.
Anche se la dispersione globale di plastica in natura fosse eliminata oggi stesso, esiste una “coda lunga” di microplastiche: la loro concentrazione nel 2050 sarebbe comunque doppia rispetto a quella attuale; alcuni scenari, prevedono un aumento di 50 volte per il 2100. Ciò vorrebbe dire che entro la fine del secolo, in un’area marina estesa complessivamente almeno quanto due volte e mezzo le dimensioni della Groenlandia, si potrebbe raggiungere una concentrazione di microplastica estremamente pericolosa dal punto di vista ecologico. Tutto questo si basa sulle proiezioni secondo cui la produzione di plastica raddoppierà entro il 2040, con il risultato che i detriti di plastica nell’oceano quadruplichino entro il 2050. La soglia massima tollerabile di inquinamento da microplastica (stabilita a 120mila oggetti per metro cubo) è stata già superata in diversi “hot spots” di inquinamento, incluso il Mar Mediterraneo, la Cina orientale, il Mar Giallo e il ghiaccio marino artico.
Il report osserva che l’inquinamento da plastica causa danni alla vita marina attraverso diversi meccanismi: intrappolamento, ingestione, soffocamento e rilascio di sostanze chimiche tossiche. Sono 2.150 specie marine venute in contatto con la plastica. Fino al 90% degli uccelli marini e il 52% delle tartarughe marine ingeriscono plastica, che è entrata nella catena alimentare marina e sta impattando significativamente sulla produttività degli ecosistemi marini più importanti al mondo, come le barriere coralline e le foreste di mangrovie. Nella regione asiatica dell’Oceano Pacifico si stima che 11,1 miliardi di oggetti di plastica (soprattutto attrezzi da pesca) siano intrappolati nella barriera corallina ed è previsto che questa quantità possa aumentare del 40% entro il 2025. La plastica che ricopre le barriere coralline non solo può soffocarle e rompere le strutture dei coralli, ma le microplastiche possono essere ingerite dai polipi dei coralli alterando le funzioni vitali loro e delle alghe simbionti, distruggendo interi sistemi coralligeni. Particolarmente preoccupante il fatto che i coralli intrappolati nella plastica hanno una probabilità fino al 90% più alta di contrarre malattie. Si incrementa così il fenomeno del loro sbiancamento (bleaching).
Un recente studio sulle foreste di mangrovie dell’isola di Giava, in Indonesia, ha rilevato come alcune zone siano ricoperte fino al 50% da plastica, con una densità di 27 oggetti di plastica per metro quadrato, cosa che può compromettere la salute di radici e foglie degli alberi di mangrovie e ridurre la presenza di organismi che vivono in questi ambienti, alterando l’ecosistema.
La natura durevole della plastica, inoltre, comporta l’assorbimento di microplastica e nanoplastica nella catena alimentare marina e continuerà a raggiungere livelli pericolosi se non riduciamo oggi la produzione e l’uso della plastica. Questa minaccia pervasiva e in continua crescita per la vita oceanica può essere affrontata solo con un’efficiente soluzione globale e sistemica, che i paesi possono stabilire adottando un trattato globale all’Assemblea 5.2 delle Nazioni Unite sull’ambiente che si terrà dal 28 febbraio al 2 marzo 2022 a Nairobi.
L’Europa (secondo maggiore produttore di plastica dopo la Cina), per esempio, rilascia ogni anno 307-925 milioni di rifiuti nei mari, di cui l’82% è plastica (principalmente frammenti di plastica e articoli monouso: bottiglie, imballaggi e sacchetti). Secondo una recente analisi, ogni anno finiscono nel Mediterraneo 229mila tonnellate di plastiche: è come se ogni giorno 500 container scaricassero in acqua il proprio contenuto. Più della metà di questa plastica proviene da soli 3 Paesi: il 32% dall’Egitto, il 15% dall’Italia e 10% alla Turchia. La situazione appare ancora più drammatica se si guarda al dettaglio delle città più inquinanti del bacino del Mediterraneo: tra le prime 10, ben 5 sono italiane (Roma, Milano, Torino, Palermo e Genova).
Il Mar Mediterraneo raggiunge così un triste primato: nelle sue acque si trova la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità di un ambiente marino: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato.
Da uno studio recente emerge che almeno 116 specie animali che vivono nel Mediterraneo hanno ingerito plastica. Sempre più plastica viene ingerita dagli organismi marini e può risalire la rete alimentare fino ad arrivare nei nostri piatti.
Realizzato in collaborazione con l’Istituto Alfred Wegener per le ricerche polari e marine (AWI), il report rileva una situazione grave e in peggioramento che richiede un’azione concreta e immediata a livello internazionale.
“Tutti i dati suggeriscono che la contaminazione da plastica dell’oceano sia irreversibile. Una volta dispersi nell’oceano, i rifiuti di plastica sono quasi impossibili da recuperare. Si frammentano costantemente e quindi la concentrazione di micro e nanoplastiche continuerà ad aumentare per decenni. Agire a monte dell’inquinamento da plastica è molto più efficace che ripulire in seguito. Se i governi, il mondo produttivo e la società agiscono all’unisono ora possono limitare la crisi planetaria della plastica”, ha dichiarato Eva Alessi, responsabile sostenibilità di WWF Italia.
Più di 2 milioni di persone in tutto il mondo hanno firmato la petizione del WWF ed oltre 100 aziende, più di 700 organizzazioni della società civile e 156 paesi, che costituiscono più di tre quarti degli Stati membri delle Nazioni Unite, hanno sostenuto la richiesta di un trattato.
“Senza dubbio, l’inquinamento da plastica potrebbe diventare un fattore che contribuisce alla sesta estinzione di massa in corso che porterà al collasso diffuso degli ecosistemi e al superamento dei limiti ambientali entro i quali l’umanità può operare in sicurezza. Sappiamo come fermare l’inquinamento da plastica e sappiamo che il costo dell’inazione va a scapito dei nostri ecosistemi oceanici: non ci sono scuse per ritardare un trattato globale sull’inquinamento da plastica. La via d’uscita dalla nostra crisi della plastica è che i paesi accettino un trattato legalmente vincolante a livello globale che affronti tutte le fasi del ciclo di vita della plastica e che ci metta sulla strada per porre fine all’inquinamento marino da plastica entro il 2030″. Così ha lapidariamente affermato Ghislaine Llewellyn, vice capo degli oceani, WWF.