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Il diario di Roberta: “Che incubo fare la spesa, ma la magnolia fiorita è un segno di speranza”

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Pagazzano (BG), 06 aprile 2020

Oggi è il mio ventunesimo giorno di isolamento. Ieri era la domenica delle Palme e sono passati ben 45 giorni dal 21 febbraio, l’ultimo giorno della vita “di prima”. Prima che questa epidemia sconvolgesse tutti i miei piani e la quotidianità che avevo pian piano cominciato a costruire. Prima che le parole “coronavirus”, “pandemia” e “quarantena” diventassero il leitmotiv di tutte le nostre giornate. Prima di entrare in questo tunnel, di cui non si intravede ancora la fine. Prima, quando le giornate sembravano interminabili e ci lamentavamo dei piccoli problemi di ogni giorno. Prima, quando stare in casa una giornata intera ci sembrava il massimo del relax. Prima, quando era tutto “normale”. Quella normalità che, però, forse non ci piaceva così tanto. E anche se in questo momento non vediamo l’ora di tornare alla vita “di prima”, che ci piaccia o no gli eventi storici di queste settimane stanno lasciando un segno, fuori e dentro di noi. Dopo non sarà più lo stesso. Non saremo più gli stessi noi. Perché se riusciremo a superare indenni tutto questo, non potremo non uscirne cambiati. Ma se questo cambiamento sarà positivo o negativo non dipende da cosa accadrà fuori, bensì da quello che in queste settimane saremo in grado di far maturare dentro di noi. Certo, non è facile. Anzi.
Anche per me in queste ultime settimane è stato davvero difficile trovare qualcosa di buono in questa clausura forzata. Mi ero imposta di creare una nuova routine, nuovi equilibri, una nuova normalità. Lavorare al mattino, cucinare ogni giorno qualcosa di buono, leggere, tenermi informata, sentire ogni giorno i miei amici e i miei cari, scrivere questo diario. Ma cercare di raccontare la quotidianità e tenere alto il morale diventava ogni giorno più difficile tra il bollettino di guerra dei telegiornali, il suono giornaliero delle campane a morto, i ceri accesi sulle finestre e sui balconi per accompagnare i defunti nel loro ultimo viaggio. E poi la fila con le mascherine fuori dalla farmacia e il supermercato, la spesa veloce tra gli sguardi timorosi e a volte infastiditi degli altri clienti, il dover disinfettare tutto prima di riporlo nella dispensa. Proprio fare la spesa, che prima era per me un momento di relax, era diventato un incubo, un supplizio. Il solo pensiero di dover andare a fare acquisti in queste condizioni mi faceva stare male. Non avevo più voglia di uscire nemmeno per comprare l’indispensabile, optando per la consegna a domicilio dei generi di prima necessità. Anche perché, nei miei piani di “prima”, in questi giorni avremmo fatto grandi provviste per festeggiare la Pasqua in anticipo con gli amici di “su”, e poi avrei finalmente preparato la valigia per tornare “giù” per la Settimana Santa. Invece sarà una Pasqua senza festa, né valigie, né riti, né famiglia. E più ci pensavo, più mi innervosivo, più mi sentivo soffocare. Mi mancava l’aria. Sono certa che tutti abbiamo provato questa sensazione almeno una volta in queste settimane. Tuttavia, qualche giorno fa, ciondolando per casa mentre mi crogiolavo nella disperazione di questa mia personale disfatta, qualcosa è cambiato. Approfittando della bella giornata sono uscita nel giardino sul retro ad ammirare la fioritura della magnolia. Nonostante l’ombra perenne, dei grandissimi fiori profumati capeggiavano sopra la mia testa, protesi verso il cielo azzurro. Annusavo l’aria insolitamente pulita in un silenzio assoluto, ovattato, incrinato solo dal canto di decine e decine di uccelli. Mentre mi inebriavo di questo inaspettato regalo della Natura, anche il sole ha fatto capolino dalla sommità del campanile della Chiesa illuminando finalmente, dopo mesi, questo fazzoletto di terra fino a ieri brullo e fosco. Ed è stato così che ho notato spuntare, tra viole, margherite e mughetti, qualcosa di nuovo: insieme alla Primavera, stava sbocciando la Speranza. La stessa speranza che, grazie a Don Giuseppe, risuona da qualche giorno insieme alle orazioni e alla musica classica provenienti dagli altoparlanti della parrocchia; quella che, grazie ai volontari, è arrivata nelle nostre case con un rametto di ulivo per celebrare la Domenica della Palme; quella che ha spinto in questi giorni un’anonima benefattrice a cucire in casa un migliaio di mascherine in tessuto, regalandole a tutti i concittadini. Piccole cose che, come semi, possiamo far cadere nel nulla o lasciare che germoglino negli angoli bui della nostra anima, per fiorire al momento giusto. Presto o tardi. Se li coltiviamo bene, anche domani.