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Mafia barcellonaese: i dettagli dell’Op. Dinastia

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I Carabinieri del Comando Provinciale di Messina e del R.O.S. hanno dato esecuzione a ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal G.I.P. presso il Tribunale di Messina su richiesta della D.D.A. di Messina, nei confronti di 59 persone ritenute responsabili a vario titolo dei delitti di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, violenza e minaccia, con l’aggravante del metodo mafioso.

Il procedimento convenzionalmente denominato “Dinastia” è il risultato degli esiti di autonome deleghe di indagine impartite dalla D.D.A. di Messina al Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Messina, al ROS e alla Compagnia Carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto, finalizzate a documentare l’attuale operatività della famiglia mafiosa dei barcellonesioperante a Barcellona Pozzo di Gotto e sul versante tirrenico della provincia di Messina, formazione criminale storicamente collegata a cosa nostra palermitana e catanese e tra le più sanguinarie e meglio organizzate militarmente del panorama mafioso della provincia peloritana.

L’operazione rappresenta l’ulteriore sviluppo della progressiva manovra di contrasto coordinata dalla Procura Distrettuale di Messina nei confronti della famiglia mafiosa barcellonese, la cui esistenza e operatività è stata negli anni accertata con varie sentenze all’esito di numerosi procedimenti penali (Mare NostrumIcaro, Eris, Vivaio, Pozzo, Gotha, ecc..) che ne hanno decimato le fila con l’arresto e la condanna di capi storici e gregari, documentandone la struttura associativa, il modus operandi e gli efferati delitti, nei vari periodi di riorganizzazione interna ed assestamento del sodalizio conseguenti ai numerosi interventi repressivi subiti.

Le nuove indagini confluite nel procedimento “Dinastia” da un lato hanno portato all’individuazione di ulteriori affiliati alla famiglia mafiosa barcellonese, indagati di partecipazione ad associazione mafiosa ed hanno consentito di fare piena luce su numerose estorsioni in danno di attività commerciali ed imprenditoriali dell’hinterlandbarcellonese, gestite da esponenti della consorteria nell’arco di oltre un ventennio per garantire il funzionamento dell’organizzazione e il mantenimento degli affiliati detenuti.

Dall’altro è emerso come le nuove leve del clan, tra cui alcuni dei figli dei principali capi mafia barcellonesi, oramai da lungo tempo detenuti, erano a capo di una struttura criminale che operava con metodo mafioso, nel traffico e nella distribuzione di ingenti quantitativi di cocaina, hashish e marijuana, nell’area tirrenica della Provincia di Messina e nelle isole Eolie, anche rifornendo ulteriori gruppi criminali satelliti, attivi nello spaccio ai minori livelli.

Parte del materiale probatorio acquisito si basa sul riscontro delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Carmelo e Francesco D’Amico, Franco Munafò, Bernardo Mendolia, Aurelio Micale e, da ultimo, Alessio Alesci, tutti organicamente inseriti nel sodalizio mafioso barcellonese ed attualmente detenuti in quanto destinatari dei provvedimenti cautelari scaturiti dalle attività investigative denominate “Pozzo”e “Gotha” del ROS. 

Le indagini hanno dimostrato come, dopo gli arresti conseguenti alle operazioni Gotha, a seguito di un “summit” avvenuto nel 2013, in località Spinesante di Barcellona, i più autorevoli rappresentanti della consorteria ancora in libertà, tra cui Francesco Aliberti, Lorenzo Mazzù, Domenico Chiofalo e Aurelio Micale, decisero di mettere le mani sul controllo del traffico delle sostanze stupefacenti, allo scopo di integrare gli introiti dell’attività estorsiva che in quel periodo si era rivelata particolarmente rischiosa e non più remunerativa come in passato. I proventi del traffico di stupefacenti erano destinati anche al sostentamento degli affiliati al clan detenuti e delle loro famiglie.

Il traffico di droga per conto del clan, in una prima fase, fu gestito dai fratelli Lorenzo e Carmelo Mazzù che diventarono monopolisti del mercato all’ingrosso e provvedevano allo smercio sul territorio attraverso i piccoli distributori locali che erano obbligati a comprare la droga solo dal sodalizio barcellonese; coloro che disponevano di autonomi canali di approvvigionamento di narcotico, erano invece obbligati a corrispondere una “quota”percentuale al gruppo barcellonese per essere “autorizzati”a spacciare sul territorio. 

Dopo l’arresto dei fratelli Mazzù avvenuto nel luglio 2013, le redini del sodalizio criminale furono assunte da Alessio Alesci, a sua volta raggiunto da un provvedimento cautelare in carcere con l’operazione Gotha V che lo ha portato a collaborare con la giustizia. Nel corso delle indagini nei confronti di Alesci, i Carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto gli sequestrarono, quello che può essere considerato il registro contabile del gruppo: le liste dei nomi degli acquirenti e cifre incassate dallo spaccio.

A seguito dei vuoti di potere causati da tali arresti, sono quindi emersi i figli di alcuni dei capi mafia storici del sodalizio criminale barcellonese, Nunzio Di Salvo, figlio di “Sam” Di Salvo , Vincenzo Gullotti figlio del capo della famiglia mafiosa barcellonese Giuseppe Gullotti e Cristian Barresi, figlio di Eugenio e nipote del defunto boss Filippo Barresi i quali hanno assunto ruoli di rilievo nell’attività del traffico di stupefacenti condotta per conto della famiglia mafiosa barcellonese e gestita con metodo mafioso per regolare le controversie connesse con le narco transazioni e i rapporti con altri qualificati gruppi criminali calabresi e catanesi fornitori delle ingenti partite di stupefacenti che venivano poi distribuite nell’area tirrenica della provincia di Messina, anche attraverso gruppi minori, autorizzatia spacciare sul territorio a Milazzo, Terme Vigliatore e a Lipari. 

Le indagini delle Stazioni Carabinieri di Terme Vigliatore e di Lipari, confluite nel procedimento Dinastia hanno consentito di acquisire rilevanti riscontri all’attività di spaccio sul territorio attuate dai terminali del traffico gestito dai barcellonesi. A Lipari sono stati individuati due distinti gruppi criminali facenti capo, l’uno a Simone Mirabito e l’altro a Andrea Villini e Antonino Iacono, che agivano in regime di duopolio servendo la clientela dell’isola con ogni tipo di stupefacente parte del quale veniva acquisito tramite la famiglia mafiosa barcellonese.

A Terme Vigliatore è stata accertata l’operatività di un gruppo organizzato dedito stabilmente allo spaccio di sostanze stupefacenti, cocaina e marijuana, con a capo Pietro Caliri, a sua volta in contatto con esponenti del clan barcellonese, che utilizzava come base logistica, il Bar “IL RITROVO” condotto da Caliri, che è stato oggetto di decreto di sequestro preventivopoiché era il luogo ove gli acquirenti si recavano per ordinare lo stupefacente che veniva poi consegnato dai sodali nelle vie adiacenti. 

Quanto a Milazzo, le indagini hanno portato all’individuazione di un gruppo organizzato dedito allo spaccio di stupefacenti, collegato al gruppo dei barcellonesi con i quali condivideva i canali di approvvigionamento dello stupefacente, composto da Francesco Doddo, Giovanni Fiore, Francesco Anania, Gjergj Precj e Sebastiano Puliafito.

Nell’ambito delle attività investigative è emerso come l’associazione si sia avvalsa di molteplici canali di approvvigionamento dello stupefacente proveniente dall’area della locride, del catanese nonché dal capoluogo peloritano, attraverso i contatti con soggetti riconducibili a contesti di criminalità organizzata. In particolare, uno dei principali canali di approvvigionamento di narcotico del sodalizio barcellonese era quello calabrese facente capo a Giuseppe Scalia che provvedeva a consegnare la droga ai corrieri barcellonesi e milazzesi che si organizzavano per prelevarla solitamente in Calabria attraverso lo stratagemma del noleggio di autovetture di comodo o utilizzando degli scooter o talvolta, per eludere i controlli stradali di polizia, attraversando lo stretto senza mezzi di trasporto per poi fare rientro a Messina con zaini o borsoni carichi di droga.

A Catania, ad interagire con i barcellonesi e con il gruppo dei milazzesi era Salvatore Laudani, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di PS con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e collegato alla criminalità mafiosa catanese poiché dalle risultanze investigative in contatto diretto con esponenti dell’associazioni mafiosa Pillera-Puntina e del clan “Mazzei”, in grado di assicurare forniture di marjuana di 7 od 8 chili per consegna. Nel medesimo contesto è stato accertato inoltre che il gruppo di Fondaconuovo si approvvigionava ad Adrano (CT) da Vincenzo Rosano, detto lo “Zio Vincenzo”.

Infine i barcellonesi si rifornivano a Messina da Francesco Turiano appartenenti al Clan di Mangialupi, il quale per un certo periodo, con il concorso di altri esponenti del suo gruppo, aveva consegnato ingenti quantitativi di stupefacenti prima ai fratelli Mazzù e poi al gruppo di Alessio Alesci. 

È stato, inoltre, dimostrato come l’associazione avesse una consistente disponibilità di armi come riscontrato con il sequestro operato nel 2014 quando fu rinvenuto un vero e proprio arsenale, interrato nelle pertinenze di un abitazione in uso alla famiglia Anania, il cui ruolo all’interno della famiglia mafiosa ed in particolare di uno dei fratelli, Francesco Anania (ex carabiniere da tempo detenuto presso il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere) è stato delineato dal collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico. Presso l’abitazione degli Anania a Milazzo, nel2014 i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Messina sequestrarono 2 revolver “Smith & Wesson”, una pistola semiautomatica “Browning” calibro 9 mm parabellum, un fucile sovrapposto a canne mozze con calciolo segato ed un fucile mitragliatore d’assalto cecoslovacco con caricatore e calciolo ripiegabile, munizionamento di vario calibro, nonché stupefacente tipo cocaina e marijuana.

Quanto emerso dall’ampia attività d’indagine condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Messina e del ROS, incrociato con le dichiarazioni dei più recenti collaboratori di giustizia, ha consentito inoltre di fare luce su alcuni episodi estorsivi, perpetrati nell’arco di oltre un ventennio, ai danni di imprenditori dell’area barcellonese, rientranti nella capillare attività di condizionamento del tessuto economico e sociale portata avanti – nonostante le numerose operazioni di polizia giudiziaria che ne hanno progressivamente decimato le fila – dal sodalizio mafioso barcellonese, nelle sue varie articolazioni.