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“Delitto e castigo” da applausi al Vittorio Emanuele di Messina

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Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini nei panni dei protagonisti di “Delitto e castigo” di Dostoevskij; i due attori, in un gremito “Vittorio Emanuele” di Messina, hanno portato in scena il conflitto psicologico del famoso Raskòl’nikov – il tormentato personaggio nato dalla penna dello scrittore russo – appassionando il pubblico con una interpretazione vibrante. L’opera, inserita nel cartellone della stagione teatrale 2018/2019 del teatro peloritano, ha visto la regia dello stesso Sergio Rubini – il quale, assieme a Carla Cavalluzzi, ha anche riadattato il testo originale – e la partecipazione di Roberto Salemi, Francesca Pasquini e G.U.P. Alcaro.
Lo Cascio ha assunto le vesti di un Raskòl’nikov interiormente dilaniato per l’omicidio di una vecchia usuraia; Rubini ha interpretato con poliedricità numerosi protagonisti del celeberrimo romanzo; insieme, hanno “ricostruito” il dramma esistenziale di Raskòl’nikov, lacerato dal folle gesto compiuto, non emendabile attraverso un castigo meramente materiale; la vera pena è già l’afflizione, è il vorticoso tormento vissuto e pian piano sempre crescente, fino a rendere insostenibile il peso e necessaria la confessione. C’è una giustificazione? Un motivo valido? E’ anche questa la riflessione che accompagna il giovane Raskòl’nikov durante il travagliato sia nel processo di “avvicinamento” all’omicidio che successivamente allo stesso.
Un’inquietudine costante non poteva che impadronirsi degli spettatori; nel taglio dato all’opera non vi era un suggerimento di pietà nei confronti del protagonista, bensì una volontà di condurre ad un’analisi psicologica che, probabilmente, rimane sospesa e distaccata da una valutazione di tipo etico o morale.
Peraltro, come anche evidenziato dalle note di accompagnamento all’opera da parte del Teatro “Vittorio Emanuele”, in quest’ultima “non esistono personaggi minori, ma dove ogni figura è portatrice di una voce, di una propria potente visione del mondo. È stato il critico Michail Bachtin a inventare l’espressione “romanzo polifonico” parlando di Dostoevskij: l’autore non interviene mai all’interno del testo per pilotare le coscienze dei suoi personaggi. Ogni personaggio rappresenta in qualche modo un’idea, un’ossessione, un punto di vista sulle cose: è ideologicamente autorevole, autonomo, indipendente dalla visione dell’autore, che non fa altro che seguirne il naturale sviluppo senza intervenire e, soprattutto, senza piegarne la psicologia alle esigenze di trama”.
Dunque, una rappresentazione che conduce il pubblico a fissare l’attenzione sulla costruzione psicologica di ogni personaggio e, in particolare, del protagonista, a percepirne le sfumature della personalità e, dall’altro lato, che non spinge a formulare un giudizio sulle azioni, pur turpi, compiute.