Peppino Impastato e quel 9 maggio 1978

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Sono trascorsi ben quarant’anni da quel 9 maggio 1978 in cui il paese di Cinisi, in provincia di Palermo, fu teatro del tragico e barbaro assassinio del giovane Peppino Impastato. Quarant’anni durante i quali la sua figura, anziché diventare un ricordo affievolito e sempre più sfumato, è divenuta un vero e proprio vessillo nella lotta alla criminalità organizzata in genere e, in special modo, alla mafia. Le battaglie condotte da Peppino e dai fidati amici si sono rivelate, infatti, fonte di ispirazione ed eredità preziosa per i sostenitori di un’autentica liberazione della Sicilia dalla morsa del potere mafioso. Dai microfoni di “Radio Aut”, definita come “Giornale di controinformazione radiodiffuso”, emittente radiofonica “antesignana” delle libere trasmissioni, Peppino si scagliava, anche con una profonda vena ironica, contro i capimafia del luogo, contrastando così la “cappa” di silenzio ed omertà vissuta come una forma di schiavitù morale e di sottomissione di un’intera terra. Squarciare questo velo è stata un’impresa faticosa e costata una frattura insanabile con parte della famiglia, legata al celebre “Don Tano”, ovvero Gaetano Badalamenti, capo indiscusso dell’organizzazione mafiosa a Cinisi. Ma ha significato anche la scelta coraggiosa ed emblematica della madre di Peppino, Felicia Bartolotta Impastato, di collocarsi senza remore dalla parte del figlio e di prendere le distanze da chi ne causò dapprima l’isolamento e, successivamente, la morte.
La politica attiva ed il giornalismo furono le sue grandi passioni, finalizzate all’approfondimento di numerosi temi sociali ed alla scoperta delle verità nascoste e più scomode; e, probabilmente, la volontà di candidarsi al consiglio comunale di Cinisi alle elezioni del 1978 nella compagine di Democrazia proletaria, insieme all’attività di denuncia con la quale ha dato un’evidente scossa al contesto sociale di appartenenza, fu una delle cause che condussero alla sua morte violenta. Un omicidio che, peraltro, fu caratterizzato da due particolari circostanze: la prima, la poca diffusione che ebbe a livello mediatico, poiché nello stesso giorno avvenne il ritrovamento del corpo del leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro in via Caetani a Roma, evento che assorbì pressoché integralmente l’attenzione del Paese. La seconda, il “camuffamento” dell’assassinio (per certi aspetti compiuto in modo piuttosto goffo), affinché fosse riconosciuto come un suicidio ed un attentato dinamitardo: il corpo, infatti, fu fatto esplodere sui binari della ferrovia di Cinisi con una carica di tritolo.
Ed, effettivamente, la stampa ed anche gli inquirenti formularono e diedero inizialmente credito a questa ricostruzione. Solo grazie agli sforzi del fratello Giovanni – oggi profondamente impegnato a perpetuare la memoria di Peppino attraverso le attività di “Casa memoria Felicia e Peppino Impastato” –, degli amici e dei compagni si ottenne la riapertura delle indagini, culminate successivamente nella condanna all’ergastolo di Gaetano Badalamenti, cioè di quello stesso Don Tano il cui potere mafioso fu contrastato con vigore e determinazione da Peppino.
Perché l’esempio di Peppino Impastato è così straordinario? E per quale ragione continua a stimolare l’attivismo di giovani e non solo? La sua scelta non fu soltanto quella di combattere contro la mafia ed il torpore delle coscienze attraverso l’informazione (o, meglio, la controinformazione), bensì si concretizzò soprattutto nella capacità e nel coraggio di allontanarsi ed emanciparsi da un contesto familiare che non condivideva, ovviamente con le conseguenze che tutto ciò poté comportare. Ma le convinzioni politiche e sociali ebbero il sopravvento e l’insofferenza verso certe dinamiche divenne insopprimibile a tal punto da intraprendere la propria personalissima strada.
Tante sono state le opere dedicate a Peppino e, tra queste, non può non ricordarsi il celebre film “I Cento Passi” di Marco Tullio Giordana che, senza dubbio, ha enormemente contribuito a far conoscere ai più, attraverso un racconto appassionato, la personalità di questo giovane siciliano, ucciso a soli trent’anni per difendere la propria e l’altrui libertà. O, ancora, la famosa canzone omonima del film, scritta e cantata dai Modena City Ramblers i cui versi riescono a condensare, in poche parole, le virtù di questo giovane straordinario: “nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio, negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di giustizia che lo portò a lottare, aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell’ambiente da lui poco onorato, si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un ideale ti porterà dolore”.
Questo era Peppino Impastato, esempio per tutti i siciliani e non solo.