Messina, certificavano tumori per giustificare interventi di chirurgia estetica, tre medici ai domiciliari

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Certificavano tumori per giustificare interventi di chirurgia estetica e ne intascavano i proventi, scoperti tre dirigenti medici dell’A.O.U. di Messina che finiscono ai domiciliari.
L’ordinanza di applicazione dell’arresto è stata eseguita dal personale della Sezione di Polizia Giudiziaria – Aliquota Polizia di Stato – emessa dal Gip di Messina dr.ssa Tiziana Leanza, su richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica dr.ssa Antonella Fradà.
L’indagine della Sezione di Polizia Giudiziaria, è stata avviata nel giugno 2013, a seguito di segnalazione pervenuta dalla Direzione Generale dell’A.O.U. in ordine ad anomalie riscontrate in alcuni interventi eseguiti nel periodo 2012-13, ed ha consentito di appurare la natura fraudolenta delle condotte poste in essere da tre medici.
Secondo quanto risultato dalle indagini, i tre medici avrebbero praticato una serie di interventi chirurgici presso l’U.S.O.D. di Endocrinochirurgia del Policlinico di Messina, già dal 2011, dissimulando degli interventi di chirurgia estetica additiva (mastoplastica), certificando l’esistenza di patologie oncologiche, di origine traumatica e/o malformativa.
La piena riuscita del programma criminoso, implicava poi naturalmente la sistematica alterazione della documentazione clinica. I tre medici ritenuti responsabili in concorso tra loro dei reati di falso materiale e falso ideologico commesso dal P.U., peculato e truffa aggravata, consumati nell’esercizio delle loro funzioni di dirigenti medici dell’A.O.U. di Messina, tra il 2011 e il 2013, sono Letterio Calbo, all’epoca Direttore del Reparto di Endocrinochirurgia dell’A.O.U.; Massimo Marullo, all’epoca vicedirettore del medesimo reparto; Enrico Calbo in qualità di specializzando presso il reparto;
I tre sempre secondo un piano ben consolidato, richiedevano alle pazienti il pagamento delle protesi impiantate, per importi di qualche migliaio di euro, di cui i medici si appropriavano, omettendo di dichiarare all’azienda sanitaria sia l’indebito compenso ricevuto, sia l’impiego di una diversa tipologia di protesi, rispetto a quelle in uso alla farmacia del Policlinico, in palese violazione del protocollo sanitario: ciò era possibile grazie all’apposizione sulle cartelle cliniche di etichette non corrispondenti a quelle delle protesi impiantate.
Ma, ovviamente, il danno economico arrecato all’azienda, non si limitava al mancato versamento delle somme corrisposte dalle pazienti, essendo aggravato dalla regolare utilizzazione di sale operatorie e apparati della struttura pubblica. Ad un secondo livello si verificava la truffa in danno del SSR, cui venivano segnalati falsamente come rientranti nella casistica dei LEA (livelli essenziali di assistenza) interventi non coperti in tutto o in parte dal Servizio sanitario Regionale, per i quali non era quindi dovuto il rimborso.